giovedì 24 luglio 2008

La deportazione di Bisbee. Dal movimento operaio alla liberta' di movimento quale forma di creativita' e arte.

Un paio di sabati fa, precisamente il 12 luglio, sono andata a vedere una rappresentazione che ricordava la “Deportazione di Bisbee”. Non avevo mai sentito parlare di quell’evento, ma quanto ho letto nel sito web dello spettacolo mi ha decisamente convinta ad andarlo a vedere e, da “old geek” (tradurrei liberamente “vecchia secchioncella”) quale sono, mi ha anche invogliata a documentarmi sull’argomento.
Cerchero’ di riassumerlo brevemente.
Esattamente il 12 luglio 1917, a Bisbee (Arizona) circa 1300 minatori in sciopero, che si opponevano alle condizioni ingiuste a cui venivano sottoposti dai padroni della locale miniera di rame, insieme ad alcuni loro sostenitori e ad altri cittadini, semplici osservatori della manifestazione, vennero deportati a forza su un treno, che li trasportasse lontano dalla cittadina, e trattenuti per 16 ore nel deserto, senza cibo o acqua. Il gruppo di rapiti venne poi rilasciato in New Mexico, senza soldi o alcun mezzo di trasporto, e gli fu impedito con minacce di tornare a Bisbee. Successivamente fu istruita una serie di processi; la deportazione venne riconosciuta illegale e alcuni tra gli esecutori vennero arrestati. Nel 1920, pero’, il giudice Edward D. White dichiaro’ (con una maggioranza di 8 a 1) che nessuna legge avrebbe protetto la liberta’ di movimento e che tutelare i diritti dei cittadini sarebbe stata solo una funzione dello Stato. I deportatori accusati vennero, percio’, prosciolti e rilasciati. Da notare che i minatori in sciopero facevano parte dell’IWW (Industrial Workers of the World), movimento operaio statunitense, nato quando ai lavoratori, specialmente se immigrati, non era riconosciuto alcun diritto. Uno degli attivisti dell’IWW, conosciuti anche come Wobblies, fu Joe Hill. Di origine svedese, Hill divenne noto per aver scritto inni politici e poemi di satira. Dopo essersi spostato in varie citta’ americane, cercando di organizzare i lavoratori a nome dell’IWW, egli fu accusato ingiustamente di omicidio e condannato a morte. Il processo e la condanna di Hill suscitarono molte controversie e suoi sostenitori avanzarono l’ipotesi della manovra politica, volta ad eliminare un personaggio scomodo, considerato elemento di disturbo, in quanto membro attivo dell’IWW. Durante la mia full immersion nello studio della deportazione di Bisbee e degli eventi ad essa collegati, ho anche scoperto che Joan Baez e Billy Bragg hanno dedicato a Joe Hill ciascuno una canzone.
Questo video sul brano di Bragg mi sembra particolarmente carino:

Se da un lato gli Wobbles e l’IWW rappresentarono il movimento operaio americano per eccellenza, la deportazione di Bisbee, col suo triste epilogo, costituì un precedente, in seguito al quale, negli anni a venire, molti politici americani considerarono la deportazione una misura perfettamente legale, che fu poi usata con una certa regolarita’. Nel 1954, ad esempio, venne creato un programma (Operation Wetback), in risposta ad un incremento nel fenomeno dell’immigrazione, che permise la deportazione di 1,300,000 lavoratori messicani.
Quando ho letto questo dato, ho pensato a tutta una serie di sfumature piuttosto insidiose che la deportazione ha assunto nel presente in questo paese. Ad esempio, col mio visto J-1, se dovessi essere licenziata dal mio datore di lavoro, avrei circa una settimana di tempo per trovarmi un altro impiego, un altro sponsor e quindi un altro visto. Se fallissi nell’impresa, sarei ufficialmente dichiarata illegale e quindi legalmente deportabile (avevo incastonato la parola tra virgolette, ma poi le ho tolte...meaning, l’uso del termine e’ LETTERALE).
L’avete visto il film “The visitor”? Davvero molto bello. Se non lo avete fatto, guardatelo...
Ma torniamo alla rappresentazione che sono andata a vedere. Ve ne voglio parlare un po’, anche per rendere merito a quello che di buono (forse dovrei aggiungere “secondo me”) ho trovato in questa mia avventura americana.
Lo spettacolo si e’ svolto in una stanza relativamente piccola; esattamente un laboratorio culturale chiamato The Red Room. La stanza rossa è un posto piuttosto interessante, gestito da un collettivo di musicisti/artisti, il cui scopo e’ quello di esplorare percorsi culturali di sperimentazione radicale. Principalmente vengono ospitati concerti di musica d’improvvisazione, ma di quando in quando e’ possibile trovarvi anche rappresentazioni di genere piu’ ampio. Riparlero’ in un’altra occasione della Red Room e del fermento culturale che le gravita intorno. Penso che ne valga la pena.
Lo spettacolo, che prendeva spunto dalla deportazione di Bisbee, cogliendo quanto di positivo si potesse associare all’evento, aveva come tema di fondo la liberta’ di movimento.
Il tutto era strutturato in quattro sezioni. Durante la prima, due musicisti (chitarra elettrica e clarinetto) si sono esibiti in un pezzo di improvvisazione, in una condizione di limitata capacita’ sensoriale (o piu’ precisamente bendati). Musica estremamente difficile da descrivere e di ascolto non immediato, ma senz’altro molto coinvolgente...almeno dopo i primi minuti di riscaldamento. :)
Nella seconda parte dello spettacolo e’ stato proiettato un cortometraggio muto, che combinava immagini di vita in un campo di concentramento giapponese durante la seconda guerra mondiale. La colonna sonora avremmo dovuto crearla noi del pubblico, emettendo dei suoni liberamente ispirati dalla visione del film. Superata la fase iniziale, in cui mi veniva da ridere da non poterne piu’, devo ammettere che l’esperienza si e’ rivelata realmente liberatoria e piuttosto intensa.
Nella terza sezione dello spettacolo, due musicisti (uno con chitarra acustica, l’altro con uno strumento che non avevo mai visto, a meta’ tra una piccola lira ed un benjo) hanno suonato e cantato quattro inni composti da Joe Hill. Ho cercato di prestare attenzione ai testi e, da quel poco che ho potuto carpire, mi sono sembrati particolarmente semplici. Nonostante cio’, ho trovato questa parte dell’esibizione molto energizzante...soprattutto avendola vista dopo le prime due :)
La quarta ed ultima parte dello spettacolo costituiva il momento ludico della rappresentazione. In pratica, si trattava di una cosa analoga al ballo della scopa o al gioco della patata bollente, solo che, credo per rimanere legati al tema del libero movimento, in questo caso noi del pubblico avremmo dovuto circolare “liberamente” tra le sedie, mentre i musicisti continuavano a suonare. Nel momento in cui la musica si fosse interrotta, tutti avrebbero dovuto sedersi e uno solo sarebbe rimasto senza sedia. Mi e’ sembrato di capire che il malcapitato dovesse poi, quale pegno da pagare, unirsi ai musicisti nella performance. Non avendo ben chiaro di cosa si trattasse, ma soprattutto, visto che non vado pazza per questo tipo di situazioni, in cui c’e’ la possibilita’ che io mi trovi al centro dell’attenzione pubblica, ho deciso di interrompere lì la mia esperienza con la libertà di movimento e di abbandonare la stanza rossa. Va da se’ che non potro’ raccontarvi la fine della storia.
Sorry...
:)

2 commenti:

giuseppe ha detto...

La morale sarebbe che dalla tanto decantata libertà di movimento c'è sempre qualcuno che rimane scottato e senza sedia?

LauraLoves ha detto...

A questo non avevo pensato...e poi nella loro storia quel qualcuno finisce sul palcoscenico con gli artisti...in teoria, in una situazione migliore rispetto agli altri che restano seduti.
E comunque, credo che la morale della favola fosse che l'importante e' muoversi e farlo con piacere.
Suppongo fosse incluso anche muoversi in direzione dell'uscita ;)