domenica 10 agosto 2008

The edge of heaven...at the Charles Theatre

Ieri sera sono andata al cinema. Il Charles Theatre e’ una delle cose di Baltimora che amo di piu’. E’ un cinema dove vengono proiettati ottimi film d’essais e, soprattutto, e’ un business locale. Non so bene chi lo gestisca, ma di sicuro appartiene alla citta’ di Baltimora dal 1939 ed e’ riuscito, in tutti questi anni, a tenere testa alla spietata concorrenza delle catene multisala. Il locale secondo me e’ bellissimo. Venne disegnato alla fine del 1800 per essere, almeno inizialmente, deposito per tram in un'ala e centrale elettrica nell'altra. Ebbene, conserva ancora oggi l’atmosfera di entrambi. Sul piano delle associazioni affettive, il Charles mi fa pensare al Modernissimo e allo Zenit; ma la struttura architettonica, che richiama gli echi degli urban workers che ci lavoravano nella prima meta’ del ‘900, gli conferisce un’individualita’ tutta speciale.
Sono andata a vedere The edge of heaven, l’ultimo lavoro di Fatih Akin.
Del regista turco-tedesco ho visto sia La sposa turca che Crossing the bridge ed entrambi, col loro linguaggio crudo ma poetico, mi sono piaciuti moltissimo.
Non vedevo l’ora di avvicinarmi al cielo :)
The edge of heaven e’ una storia di frontiere (geografiche, temporali, politiche, metaforiche) che vengono attraversate piu’ o meno ripetutamente o, alcune volte, con viaggio di sola andata. Gli eventi (semplici e in certi casi semplificati all’estremo) si susseguono secondo un andamento non lineare o, piuttosto, rizomatico. La morte e’ un elemento centrale.
Quanto ho scritto finora potrebbe far pensare che ieri abbia visto un film meraviglioso. Purtroppo ritengo che non sia cosi’. The edge of heaven e’ molto bello, ma ha delle imperfezioni decisamente non trascurabili. Peccato, perche’ gli ingredienti sembravano esserci tutti.
Credo che la sua debolezza principale sia l’eccessiva sfumatura dei toni, che si traduce inevitabilmente in mancanza di incisivita’. Per quasi tutto il tempo si ha come l’impressione di essere sospesi in un limbo e di venire trasportati in moto libero dagli eventi stessi. Per un po’ la sensazione e’ persino piacevole; si’, decisamente piacevole. Poi, pero’, ci si aspetta che la fluttuazione si interrompa e che si inizi a prendere quota. Questo purtroppo non avviene mai. Nemmeno nel finale. Tanto meno nel finale. In The edge of heaven il cielo si vede solo da lontano, forse un po’ troppo da lontano.
In una struttura rizomatica i vari nodi dovrebbero avere vita autonoma, dovrebbero essere indipendenti gli uni dagli altri e dalla radice che li ha generati. In questo film cio’ non succede. I nodi mancano di luce propria.
Per carita’, il lirismo anarcoide di Akin e’ sempre di ottima qualita’. Splendide immagini, musica eccellente, recitazione buona ci accompagnano per tutta la durata della pellicola.
C’e’ solo una cosa che letteralmente mi sfugge e che davvero non so come interpretare. Volutamente non ho fatto il minimo accenno alla trama (che comunque potete leggere nel sito accessibile dal link), ma in questo caso mi tocca fare un’eccezione. Non me ne vogliate.
Come diavolo fa Ayten a uscire di galera??? Forse facendo la spia???
Spero di aver capito male, perche’, se cosi’ non fosse, quello costituirebbe per me un enorme buco nero, nel quale e dal quale l’intero film verrebbe inesorabilmente risucchiato. E si’, per la miseria, qualunque tipo di evoluzione del personaggio sarebbe accettabile, che si concordi o meno. Ma la delazione, unica via percorribile per attuare il processo di cambiamento, no, mi dispiace non gliela posso lasciar passare. Finzione per finzione, ad Akin potevano venire in mente almeno un paio di idee migliori.
Resta la possibilita’ che io possa aver frainteso. Anche in questa circostanza, pero’, Akin non se la cava. Un dubbio del genere, infatti, non puo’ essere lasciato. Pena, la delusione dello spettatore (be'...sicuramente la mia).
Quando si sono accese le luci nella sala ho notato le quattro ragazze che erano sedute nella fila di fronte a me. Giovani americane, probabilmente compagne di college. Alzandosi, le tipe hanno iniziato a commentare, o meglio, a esprimere sinteticamente il loro disappunto.
Una ha detto con tono piuttosto seccato: “ Va bene, vuol dire che ho sprecato 8 dollari.” Le altre hanno annuito.
Istantaneamente mi sono chiesta se le quattro ragazzette fossero state deluse dalle debolezze del film, che anche io avevo notato, pur apprezzandone gli innumerevoli aspetti positivi o se semplicemente non avessero capito nulla e fossero state sopraffatte dalla organizzazione non lineare della storia e dai suoi toni non convenzionali (ripensandoci, mi auguro che non siano state infastidite dai riferimenti anticapitalistici).
Non ho paura di ammettere che, dopo quasi quattro anni di vita in questo paese, tendo a propendere per la seconda ipotesi.
Perdonate l’arroganza.
Sarei immensamente felice di sbagliarmi :)

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