venerdì 20 marzo 2009

La prima serata a Parma

Eccomi qua, tornata dopo una pausa decisamente lunga.
Nell’ultimo post che avevo scritto parlavo di Obama e del suo discorso alla convention dei democratici.
Bè, ora Obama è il presidente degli Stati Uniti d’America e io in America non ci abito piu’. Sì, mi pare di aver gia’ sottolineato che un gran tempismo non l’ho avuto mai.
Comunque ora vivo a Parma. Baltimora, invece, vive nei miei ricordi.
La vita continua. E mi sembra carino far continuare anche questo blog.
Come? Non lo so ancora. Di certo Parma ci sara’.
E comincerei proprio dal giorno in cui mi sono trasferita nell’appartamento in cui abito attualmente. Dopo aver sistemato i miei bagagli, ho deciso di andare a cena fuori, un po’ perché non avevo voglia di cucinare e un po’ perché mi sembrava una buona occasione per iniziare a scoprire la citta’.
Era un sabato sera e mi andava di mangiare cibo giapponese. Una delle ragazze con cui condivido l’appartamento mi ha detto che c'era un ristorante giapponese non eccessivamente caro al Barilla center. Ho chiesto cosa fosse il Barilla center e lei mi ha spiegato che era una specie di centro commerciale. Normalmente avrei scartato l’opzione a priori, ma in quel caso ho deciso di provare il ristorante giapponese al Barilla center di sabato sera. Credo abbiano influito sulla scelta una lieve componente masochista, il piacere della sfida e l’idea di una certa continuita’ con la mia vita a Baltimora.
È stato quasi buffo scoprire che il Barilla center somiglia piu’ a un mall californiano che non a uno di quelli che si trovano nell’area di Baltimora. La struttura è parzialmente aperta e l’interazione con l’esterno, o anche solo il fatto di respirare aria corrente, rende il luogo meno claustrofobico del tipico mall che si sviluppa completamente al chiuso.
Quel sabato sera il Barilla center pullulava di ragazzini, tutti vestiti in maniera piuttosto ricercata, assolutamente impersonale, ma comunque ricercata. I loro colleghi baltimoresi non avrebbero mai posto tanta cura nell’abbigliamento. Mi correggo, forse certi adolescenti neri sì. Ma quella è tutta un’altra storia.
Prima di arrivare al ristorante giapponese sono passata davanti a un bar dall’arredamento sciccoso, un lounge bar. Ce n’erano anche a Baltimora, è solo che io non li frequentavo e trovo quindi difficile fare un paragone accurato. Credo comunque di non azzardare troppo se dico che gli avventori del lounge bar del Barilla center sembravano appena usciti da una sfilata di moda, se paragonati alla loro controparte americana e forse anche se non paragonati.
Il ristorante giapponese, invece, mi ha fatto attraversare ancora una volta l’oceano Atlantico verso ovest. Un vero pezzo da catena. Arredato in modo essenziale ed economico, con elementi decorativi che sembravano messi lì per ricordare al cliente di stare cenando, appunto, in un ristorante giapponese.
Il cameriere che mi ha servito era un’adolescente nipponico con una splendida acconciatura crestata, che lo faceva assomigliare a un personaggio di un racconto cyber-punk. La cosa mi ha messo totalmente di buon umore e non so se abbia influito in qualche modo sul fatto che mi è venuto istintivo rivolgermi a lui in inglese, nonostante il giovane cyber-cameriere parlasse italiano correttamente. La confusione spazio-temporale mi è passata all’istante, non appena mi sono accorta che i noodles che avevo ordinato erano delle regolarissime linguine di grano duro.
Uscita dal ristorante, sono passata davanti al cinema multisala del Barilla; uno di quelli che puoi trovare in un qualsiasi mall che si rispetti, così come la scaletta di film che era in programma quel sabato sera.
E poi ho visto la libreria del centro commerciale, Feltrinelli, e con una certa sorpresa ho pensato: buffo pero’, nel bel mezzo di Parma c’è la miniatura di un mall californiano, con la Feltrinelli al posto di Borders o Barnes & Nobles.
Appena lasciato il Barilla center, mi ha assalito un desiderio improvviso di sorseggiare qualcosa di caldo. Sì, avrei bevuto volentieri un orzo.
Mentre pensavo a come appagare le mie voglie, mi si è posato lo sguardo su una scritta luminosa in stile liberty: Bar Novecento. Anche le vetrate sulla porta d’ingresso erano decorate con fregi che s’intonavano all’insegna. Ho capito subito che avrei preso lì il mio orzo.
Il bar era arredato in accordo con quanto il suo nome avrebbe lasciato immaginare. I pochi clienti che c’erano davano l’impressione di essere avventori abituali.
Ma l’elemento piu’ interessante di quel luogo d’altri tempi era senza dubbio il barista, una specie di mangiafuoco dall’aspetto curato e perfino elegante, con occhi blu come il mare e imponenti baffi biondi. Ad aiutarlo c’era una giovane donna, anch’essa bionda, con la carnagione pallida e un fare gentile. È stato mangiafuoco a prendere la mia ordinazione. E allora, con un certo stupore, mi sono accorta che era muto. Sì, mi ha servito senza proferire parola, comunicando a gesti ed emettendo di quando in quando suoni gutturali. Mi hanno colpito la sicurezza e la naturalezza che mostrava e soprattutto l’atteggiamento autoritario con cui impartiva ordini alla ragazza bionda.
Nell’incanto del momento avevo gia’ deciso che i due fossero una versione padre/figlia de “La bella e la bestia”. Credo che quella sera io abbia bevuto l’orzo piu’ intenso della mia vita.
E tornando a casa mi sono chiesta con perplessita’ cosa spingesse la gente a preferire il Barilla center a quello splendido caffè dall’atmosfera felliniana. E alla fine ho concluso che, a prescindere dalle preferenze dei singoli, forse è proprio la coesistenza di due luoghi così diversi tra loro a generare la magia.

Ah, mi sono appena ricordata che tra qualche ora iniziera' la primavera.

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